In un complesso residenziale di Los Angeles avviene una serie di omicidi. La polizia non ha alcun indizio sul possibile assassino, lo spettatore, invece, ne ha più di qualcuno. L’amministratore del complesso residenziale Vance Kingsley, soffre ancora per la scomparsa della figlia in un incidente stradale avvenuto in seguito a un party a base di sesso e droga. Adesso Kingsley è ostile a tutte le donne che hanno costumi liberi perché quella è la strada che le porta alla perdizione. Rimane ossessivamente colpito da Laurie, una brava ragazza che abita nel palazzo, e la rapisce con l’idea che diventi un surrogato di sua figlia. Ma Kingsley non è la persona più pericolosa in azione.

Unico film per il cinema di un regista molto attivo in televisione, è diventato famoso per essere entrato nella lista dei cosiddetti video nasties proibiti dalla censura inglese nei primi anni ’80. In effetti, è un film crudo e violento, che inscena omicidi crudeli contro giovani donne indifese e lo fa utilizzando strumenti da lavoro (da cui il titolo originale) in modo inventivo ed efferato. Lo stile dimesso non fa che aumentarne l’impatto e il senso di disagio che trasmette, incentrato su un personaggio psicopatico che, interpretato con straniante misura dallo specialista Cameron Mitchell, in una svolta narrativa diventa una vittima della propria residua umanità e dimostra un toccante attaccamento per la figlia perduta e per quella fasulla che vuole a tutti i costi ritrovare.