Descrizione articolo: Edwige Fenech è stato il ‘prodotto’ collettivo di esperti artigiani che bene conoscevano le leggi del botteghino e la psicologia maschile. Più prodotto di consumo che opera artistica e dunque opera pop. Fu anche un bene a domanda rigida, tipico dei mercati monopolistici, e dalla curva gaussiana in continua ascesa, nonostante il suo perdurare sul mercato. Insomma, un marchio di successo. Uscito dalle forbici del montaggio, però, il mito di Edwige Fenech prendeva forma nei sogni di milioni di connazionali. Entrava nella vita della gente, nelle grandi città fino ai più sperduti paesini del mezzogiorno, a regalare ancora quegli enormi struggimenti che solo lei sapeva suscitare. E’ lei il corpo dei Settanta, l’oggetto del desiderio, il culto nascosto di una nazione intera. Lo sanno bene operai e dirigenti, forze dell’ordine e studenti, brigatisti e neofascisti, lo sa bene quel pezzo di umanità che per tutto il decennio si è combattuta sulle strade fino a darsi la morte: il corpo dei Settanta sono anche loro; la pancia molle di un paese scivolato nella centrifuga sessantottina con spirito ottocentesco, e fuoriuscito piagato dalla violenza, spaventato dal futuro e ossessionato dal sesso. Un paese che in Edwige Fenech ha veduto l’incarnazione di un mondo migliore: florido e rigoglioso come i suoi seni, colorato e vivace come i suoi film, ilare e umano come le storie paciose di tante sue commedie. Un mondo bello e pacificato, fuori dalle storture del potere e dalla scarsità delle risorse. Proprio com’era Edwige. «Sembrava ce ne fosse per tutti» – si diceva di lei. Come sappiamo non è andata così. Non ce n’è stato per tutti. Edwige ha scostato il seno e il mondo si é scoperto in affanno. Depauperato da un’economia finanziaria che logora le risorse e avvizzisce la terra, il pianeta si è avviato, gracile, verso l’imponderabile ministero dell’ignoto.
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